L'importanza di onorare Ascoli-Pisa e la decostruzione della "retorica della salvezza"

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Venerdì sera andrà in scena l’ultima giornata di campionato. Una partita che, di fatto, non offre più nulla ai nerazzurri, ormai sicuri della salvezza e fuori dalla lotta playoff. Ci sono però almeno un paio di motivi per cui questa partita dev’essere onorata. Inoltre è arrivato il momento di parlare e di decostruire una certa retorica, per capire cosa vuole fare il Pisa da grande.

ASCOLI-PISA, PERCHE’ HA RAGIONE GIOVANNI CORRADO – Ha ragione Giovanni Corrado, bisogna parlare al presente, perché la stagione non è ancora finita. “Dovreste essere arrabbiatissimi se ad Ascoli non dovessimo fare risultato” è una delle frasi pronunciate dal direttore generale al termine della sfida contro il Sud Tirol. E sono pienamente d’accordo. Come ho già scritto sia su queste pagine, sia su La Nazione, sfumando i playoff bisogna comunque che il Pisa cerchi altri due ideologici obiettivi. Il primo è quello dei 48 punti. Nell’ultimo campionato Cadetto infatti il Pisa di D’Angelo fermò la propria corsa a quota 47, perdendo il treno playoff per due punti (si accedeva agli spareggi con 49 punti). Superare questo scoglio vorrebbe dire, psicologicamente, migliorare il dato della scorsa stagione. Non una cosa scontata e di sicura importanza per la società. Ben più importante invece è quello di onorare la maglia e battere l’Ascoli. La scorsa stagione il Pisa concluse il campionato in maniera molto negativa. Non solo la sconfitta all’ultima giornata con la Spal, già retrocessa, ma anche le ultime otto partite senza vittorie con cui la squadra ha terminato il suo torneo. Sarebbe bastato solo un successo, al termine dello scorso torneo, per permettere alla squadra di D’Angelo di entrare nei playoff. Quest’anno l’imperativo è quindi quello di lottare fino alla fine. Riuscire in questo intento permetterebbe a chi è rimasto di riscattarsi e, se anche non dovesse arrivare la qualificazione, i tifosi rimarrebbero comunque soddisfatti. Per il tifo più caldo infatti c’è una regola fondamentale: Si può anche fallire, ma l’importante è sudare la maglia fino alla fine. Ecco perché Giovanni Corrado ha ragione. Non è solo una crescita dovuta ai risultati quella che ci si aspetta dai giocatori, ma anche una certa maturità. Rimanendo nel pratico Pisa-Ascoli non serve assolutamente a niente, l’obiettivo è tutto mentale, ideologico. Nel pratico tutti gli altri obiettivi sono sfumati.

NON BISOGNA AVER PAURA DI PARLARE AL CUORE DELLA GENTE – Altresì però bisogna analizzare e decostruire, quindi privare di alcune caratteristiche e stereotipi altre dichiarazioni, che ci aiutano a capire la situazione e a tracciare la linea per il futuro. Corrado da un lato ha parlato delle legittime ambizioni di questa società di migliorare anno dopo anno che si sono posti per alzare periodicamente l’asticella. Obiettivi sportivi, ma anche strutturali e societari, sulla strada per quello che sembra essere l’obiettivo ultimo dello stesso Giovanni Corrado. “Il giorno che andrò via voglio lasciare una società perfettamente oliata che vada avanti indipendentemente dalle persone”. Per rendere il Pisa una macchina perfetta però ci vuole tempo. E lo sappiamo. Credo che sia la piazza, sia i giornalisti di questa città siano ormai abbastanza maturi di aver capito il valore di questi cinque anni di Serie B e che tutti siano pronti ad andare oltre. In un certo senso dovrebbe essere pronto anche il Pisa. Perché dico questo? Perché un po’ stona sentir parlare della “retorica della salvezza”, dei 35 anni di nulla prima di questo lustro di calcio di Cadetteria. Tutti, nessuno escluso, hanno riconosciuto questo valore. Se arrivano le critiche non è certo per mortificare o per dare per scontata questa categoria che, lo sappiamo, è difficilissima. Passare dalla Serie A alla Serie C è un attimo. Lo dimostra la Spal, il Benevento e addirittura il Bari, che sta rischiando grosso, quando l’anno scorso ha lottato per la finale playoff e oggi invece rischia di andare in terza serie, dopo un gravissimo contraccolpo psicologico per la finale persa. Oggi a confessarlo è stato Di Cesare, ieri era Beruatto nel Pisa, dopo le scorie di Pisa-Monza, che andarono a ripercuotersi sui mesi successivi. Io penso che non si debba aver paura a parlare al cuore della gente. Credo che, in fondo, in società si abbia ancora un po’ paura di venire strumentalizzati quando si dicono certe cose. Ma fa parte del gioco. Se si parla di playoff ci si aspetteranno i playoff, se si parla di Serie A, sarà questo che si si attenderà. D’altronde è questo che ha fatto il presidente Corrado, ma anche Knaster nel suo breve intervento a 50 canale a inizio stagione. Quindi il Pisa cosa vuole fare da grande? Ormai non è più la società di qualche anno fa, di Ricci e Corrado, con quest’ultimo che, in sala stampa, giustamente, diceva “mangiamo per quello che cacciamo”. Questo è un Pisa ben diverso, è una società al 75% di un imprenditore russo-americano che, dicono i bilanci, ha versato 40 milioni di euro nelle casse societarie e che ha contribuito a spendere, negli ultimi 3 anni, 73 milioni di euro tra stipendi e mercato. Qual è quindi l’obiettivo? Attendere che il Pisa diventi una società più strutturata con un centro sportivo e uno stadio all’altezza, come dice Giovanni Corrado? Prima non sarà possibile? Insomma, quando si pone una domanda su un obiettivo, la risposta non è mai diretta, ma spesso fa voli pindarici. Benissimo, è tutto comprensibile. Comprensibile che non si vogliano pressioni, comprensibile che si vogliano tenere comunque buoni i tifosi, che di fatto sono la cosa più importante per una squadra di calcio, comprensibile che si voglia tenere lontani anche i giornalisti che potrebbero strumentalizzare determinate parole, ma non bisogna aver paura di parlare al cuore della gente, ribadisco. Pisa è matura, segue questa società, anche se i social sono diventati un buco nero e non vanno neanche considerati, vista la fauna che li popola. La ‘retorica della salvezza’ ci sta stretta, ma non perché vogliamo di più, ma perché lo sappiamo e riconosciamo il valore di una società che in Serie B ha rischiato pochissimo e che, prima di tutto, sa bene dove si trova, in una categoria sempre più difficile, quindi la lezione l’abbiamo imparata. Ormai però questa società ha una certa reputazione a livello italiano, tutta positiva, a livello gestionale e imprenditoriale, e non può più nascondersi agli occhi della gente e dei giornalisti. Non siamo più al punto che si debba capire cosa voglia fare il Pisa da grande, ma non abbia paura a parlarne.

UN ANNO DI TRANSIZIONE – Questa non sarà ricordata come una stagione positiva, ma come una stagione negativa, i cui obiettivi sportivi non sono stati centrati. Una stagione di transizione che potrebbe anche portare alla separazione da un allenatore chiamato per un progetto biennale. E come tale va anche analizzata. Tenendo presenti le tante attenuanti, ma comunque rimanendo critici. Fidatevi, in società li conoscono bene i problemi di questa squadra che, comunque, giustamente viene protetta agli occhi degli addetti ai lavori e dei tifosi. Alcuni dirigenti nel corso dell’inverno non hanno dormito la notte per cercare di risolvere i problemi di questa squadra. E passeranno tanti notti insonni a costruire quella dell’anno prossimo. Alla fine è stato un anno di transizione, per passare da un ciclo, quello di D’Angelo, a un nuovo ciclo, a prescindere da Aquilani. Basato su un altro tipo di filosofia di gioco, che permarrà anche in futuro. Un gioco “più adatto” alla Serie A, così da offrire al Pisa la possibilità di poter avere più possibilità di salvarsi, il giorno che ci arriverà. Prima però occorre programmare oculatamente, ma anche togliersi dalle spalle una certa ‘retorica della salvezza’, senza darla comunque per scontata. Altrimenti può sembrare un alibi. E’ un altro modo per diventare grandi.

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