CATTIVO CITTADINO di Gianni Barone / DOPO IL "TUTTO SCORRE" AVANTI COL "TUTTI DENTRO"

(Gianni Barone, foto festeggiamenti OldManAgency) – Il tutto che diventa tutti e non solo nei motti o nelle intenzioni, ma sul campo, sul rettangolo di gioco, verde, come qualcuno amava definirlo, dove serve avere unità, compattezza, amalgama, termine riportato alla luce non ricordando chi lo aveva in passato sublimato, credendolo, per suo impaccio culturale, merce che si poteva acquistare al mercato degli uomini piccoli, leggi calciatori.

Dal tutto scorre del "non possiamo bagnarci due volte nello stesso fiume", nella stessa acqua, per meglio dire, poiché la stessa scorre e se va, ecco che siamo giunti ad un motto manifesto di una filosofia che non dovrebbe essere nuova, o garanzia di novità, in quanto il valore intrinseco di uno sport di squadra come il calcio, amato e contemplato nella sua unicità, per quell'alto grado di imprevedibilità che assicura e garantisce, avrebbe dovuto essere sempre concepito non nell'esaltazione dei singoli, come ahinoi ancora qualcuno fanaticamente continua a professare…

…ma nella certezza di poggiare sul solido terreno di un “collettivismo” non politico (tramontato nelle angustie della storia), ma sportivo, di campo, appunto, attingendo alle risorse umane (eccellenti o meno) a disposizione. Non si vince mai da soli, e nemmeno si perde o ci si perde a causa della solitudine, al contrario della vita, nel calcio quando si può disporre del contributo di tutti. Con questo uovo di Colombo, Pecchia si è ritrovato tra le mani, il suo di uovo, e non lo ha fatto rotolare fatalisticamente sul quel rettangolo verde che aveva di fronte a sé, ma ha cercato di farselo suo, per merito e grazie al contributo di tutti coloro avevano capito le sue intenzioni e avevano in anticipo intravisto che potevano credere in lui e fidarsi del suo intuito pallonaro, leggi equilibrio, secondo il suo maestro e ammiratore Rafa I.

È nato un mantra come quelli bravi, e non solo quelli esperti di dottrine orientali, ora affermano, che è un marchio, una sicurezza, una certezza, una strada, un cammino percorso insieme con forza e convinzione. Un “tutti dentro” che non presuppone scelte definitive, come qualcuno avrebbe preferito, quasi la maggioranza di chi, oltre che tifoso si professa anche tecnico, e che non schiude e chiude prospettive d'inserimento, nel famigerato undici iniziale, sicure per niente e soprattutto per nessuno. I fantomatici titolari che non esistono più, i buoni che vengono confusi con i meno buoni (sempre sulla carta s'intende) e talvolta vengono, sempre nell'immaginario un po' distorto di chi non ha il senso dello sport collettivo, sopravanzati e spodestati da chi sembra avere meno doti, meno talento, meno charme e meno appeal.

Questo tramestio di qualità, di abilità, questo fritto misto che travolge e sconvolge, a fatica, viene accettato dai benpensanti, di cui sopra, ora saliti, per ovvi, convenienti e scontati motivi, su un carro vincente che accoglie tutti, critici, scettici ed eversori compresi. Ora che si festeggia una vittoria, un'affermazione anche con lodi, lagnanti di letteratura tifoidea, non si capisce, o forse lo si capisce bene, il perché la gente (e in questo termine collettivo includiamo tutti, visto che ce lo impone la società progredita: tifosi, sportivi, critici, giornalisti, scrittori, militanti severi) vuole la formazione tipo, quella da cui non si può prescindere o derogare e che si può cambiare (mutatis mutandis) solo per cause di forza maggiore?

Eh si perché? Perché lo vuole la gente, quasi come tutte quelle imposizioni che pretende da noi poveri italici, pizza, mandolino e spaghetti, la grande Europa. La gente lo fa, lo vuole, quasi lo pretende, proprio perché vuole esserci, vuole partecipare, vuole essere inclusa, in un logica di "tutti dentro", vuole dire la sua nella stesura della formazione oppure vuole contestare, criticare, correggere, quella che l'allenatore annuncia e poi schiera.

Per dire, inoltre – e mi riferisco al tifoso d'oggi, evoluto, quello che usa internet, i social, o popola gli spazi commenti dei blog come il nostro – che l'allenatore ha sbagliato o peggio ancora non capisce niente. Pecchia ha spezzato tutti gli equilibri, ha sparigliato le carte, ha rotto, in poche parole, le scatole a tutti con il suo continuo variare, che non vuole che si definisca turn over, perché non transitorio, che non piace, spiazza, confonde e destabilizza equilibri consolidati e distrugge certezze a chi crede di potere, nel calcio, confutare, o presso chi (e qui entriamo nel campo della Critica Dotta, quella con C e la D maiuscole) crede di saperne più degli altri, o d'intendersene più degli stessi cavalli che l'ippica (il calcio, nel nostro caso), lo hanno praticato per davvero o lo hanno studiato anche da privatisti, oltre che nei corsi canonici federali.

Il tutto (i) dentro, più che mantra e filosofia, diventa, quindi, sacrilegio ed il bello o il brutto, a seconda dei casi o degli orientamenti, e che il «sacrilego» che ha vinto, non può, in questo gioioso momento, in cui tutti si felicitano con lui, essere criticato per nessuna ragione al mondo, pena la scomunica o l'apostasia.

Qualcuno però, cerca già di mettere le mani avanti e con coraggio si mette in proprio dicendo che questo tourbillon senza freni e senza limiti, e senza pudore (non detto, ma supposto), non potrà essere ripetuto in serie A, laddove, crescendo il livello tecnico medio di squadre o giocatori, non sarà facile, come avvenuto in serie B, reperire alternative all'altezza, quindi le speranze di tornare all'undici ideale dei partenti, aumentano alimentando la fantasia di chi potrà proporre, frutto del proprio ego calcistico, in alcuni molto, troppo sviluppato, proporre consigliare e finalmente elencare quelli che sono stati, sono o saranno i giocatori più in vista, più bravi, più amati, da idolatrare ad ogni piè (pardon talk sportivo di punta) sospinto.

Adesso, però, ben venga anche il collettivismo pecchiano, in questo clima di eppur è finita bene, lo spazio per le sottigliezze e per i sofismi viene surclassato dall'euforia incontrollata, istituzioni politiche comprese se non in testa, che pervade tutta la città, provincia più prossima al capoluogo, compresa.

È iniziata la festa, con gli speciali in carta stampata e in tv, con video emozionale con tanto di commento letterario non tanto allegro nei toni, compreso per dare un senso all'affermazione generale della società, mai Krause e Pederzoli, si sarebbero attesi tanti elogi tutti in una volta, dopo tanti mugugni ora scordati per non rovinare il trionfo, e della parte tecnica e di quella parte invisibile (così Pecchia l'aveva battezzata in ritiro) che rientrano nel novero di chi con lavoro oscuro o meno ha contribuito all'affermazione dei colori Crociati che sbarcano in quella serie, per la quarta volta nella propria storia, grazie ad un promozione, che potrebbe essere per la prima da vincitori assoluti al primo posto se solo lo si ottenesse, grazie ai due prossimi turni contro due avversari, rivali, vicini ma tutt'altro che amati.

Il tutti dentro che si tuffa nel tutto scorre eracliteo che dovrebbe rafforzare il senso di appartenenza a un qualcosa da condividere con gli altri. Ancora (no, non mi riferisco al video emozionale che non mi ha fatto certo impazzire devo ammetterlo) per poco si parlerà del tutti dentro, poi per la gioia di tutti, con il mercato prossimo venturo, imminente, si tornerà a parlare esclusivamente di «singoli». Finalmente, come qualcuno esploderà con giubilo represso in queste ore in cui la «Confraternita del collettivo» ha la meglio e ha preso il largo. Ancora (no, niente video) per poco. Vivaddio, e non solo Lui. Gianni Barone

×