IN MORTE DEL FLACO MENOTTI, MINISTRO DI UN FUTEBOL ONIRICO E CT DELL'ARGENTINA MUNDIAL

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(Luca Savarese) – L’ adanismo, cioè il verbo futebolistico diffuso da Lele Adani, sta creando infinità di adepti. La parola dell’ex calciatore, nativo di Correggio, è seguita ovunque, i social, ne sono i suoi vangeli. Per non parlare di quelli apocrifi, che mendicano veridicità e ne disseminano miracoli, su YouTube.

Concetti sempre molto interessanti quelli di Daniele Adani e veicolati con il giusto mix, di passione e conoscenza. Ma al popolo adanista, alle volte quasi più capillare che quello dei sorcini di Renato Zero, al quale basta citare “El piojo” Claudio Lopez per sentirsi esperti di futebol, bisogna ogni tanto ricordare, che prima che Adani fosse, il calcio argentino, già era.
Non lo ha inventato lui, né tantomeno l’altrettanto abile Stefano Borghi, il quale, sui canali di SportItalia, iniziò, qualche anno fa, a narrare squadre, personaggi, vicende e curiosità del mondo calcistico arghentino.

Il calcio argentino ed in Argentina, ha una storia lunga che racchiudere in veloci video virali risulta, spesso, riduttivo. Bisogna andare indietro, nella Buenos Aires, zeppa di immigrati, dagli anni 1880 al 1882. C’è, tra questi, anche Alexander Watson Hutton, ha 30 anni, viene da Edimburgo. Sbarca nella capitale per lavorare come preside della scuola Andrew’s Scots School. Arriva con la valigia, ed al momento dei controlli doganali, ecco due arnesi piuttosto strani, che l’agente della sorveglianza locale, con stupore, definirà palle rotonde di cuoio e gonfiatore”. Non lo sapeva, Hutton, che questo suo inizio, conteneva un seme, capace, di generare,  molti anni dopo, i santi viaggi di Maradona e Messi, ma anche le prolifiche campagne di Mario Kempes, Diego Milito e tanti altri.

La sua visione, il suo indomito voler regalare al pueblo argentino le prelibatezze di un gioco da poco nato, nella sua Scozia, fecero il resto. Nel 1893 eccolo dare luogo, alla primissima Argentina Association Football League. Lui, da Alexander, fa presto a divenire Alejandro, il football, palla da piedi, ci mette un amen a divenire futebol.

Passa qualche anno e questo futebol, diventa il mestiere di Cesar Luis Menotti, classe 1938, con origini anconetane. Gioca, è delantero, attaccante, con il Rosario Central, il Racing Club, il Boca Juniors, poi va negli States, col New York Generals ed in Brasile, col Santos. Il suo vero e primo golazo, lo realizza, però, da allenatore, portando l’Huracan, altro club di Buenos Aires, a vincere il titolo del 1973, dopo 46 anni, di digiuno, per la squadra.

Nel 1974 diventa commissario tecnico di quell’Argentina, alla quale, a fine ottocento, Hutton, aveva dato le basi per essere una nazione di pallone , finte e pasos doblesel flaco, il magro, Menotti, a quelle basi, aggiunge l’altezza di una proposta nuova, diviso due. Uno: “Il calcio è un gioco di idee non di muscoli”. Due: “I giornalisti non capiscono niente di calcio. Se li racchiudono in una stanza, non sono nemmeno capaci di scrivere una lettera alla mamma”.

La sua chimica, fatta non della creatività del potere, ma dal potere della creatività, lo porta a fare degli esperimenti, coraggiosissimi. D’Annunzio concepiva e proponeva la vita come opera d’arte. Ecco invece il calcio menottiano come opera d’arte. Ai suoi studi chimici, aggiunge il gusto, delle sfide. Per preparare i giocatori al Mundial 78, li chiude in un laboratorio, senza donne, a cibarsi di vitamine e a giocare. Le sensate, durissime, esperienze e le necessarie dimostrazioni, la vittoria di un mondiale, il primo, quello in casa, del 1978. E l’area del suo triangolo, è compiuta. Maradona dirà che Kempes ha preso l’Argentina e l’ha messa sulla mappa del calcio mondiale.

Il Flaco, ed anche un po’ loco, è stato il primo vero google maps dell’Argentinaguidandola, con indicazioni solide, segnaletica poetica, strade intelligenti e disarmanti, alla destinazione coppa del mondo. Il suo capitano era Osvaldo Ardiles, che giostrava, a centrocampo, pur essendo un giocatore di movimento, con il numero 1 sulle spalle. Tu chiamate, se vuoi, sagge pazzie. Scelte ardimentose, quasi cinematografiche, eppure, vincenti.

Il Flaco, ha conosciuto anche lo stivale. Estate 97, Enrico Mantovani che con Vujadin Boskov, il labbro di Novi Sad, ha vinto un campionato nel 1991, vuole provare a portare le parole ed i concetti di Menotti alla sua Samp. Ma come speso accade, le grandi attese, nel calcio, possono rimpicciolirsi e sgonfiarsi presto, come palloncini che hanno perso aria ed implodere, stelle filanti su un cemento, senza carnevale. Il Flaco viene esonerato dopo 11 turni. Al Doria torna Vujadin, che però non riesce, nemmeno lui, nelle antiche e nobili imprese.

Ma i grandi, in poco tempo, cifra di pochi, anche se non soffia il vento che desideravano, riescono ugualmente a dire cose, non banali. “La Fiorentina, deve avere uno stile di gioco all’altezza dei suoi Michelangelo e Leonardo”. Sentenziò il Flaco. Uno che non aveva bisogno né di match analist né di giornalisti amici. Né di adanisti. Buon viaggio Flaco e ti sia lieve la terra. Luca Savarese

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